Ed eccoci finalmente alla stagione del melograno, il vero re dell’autunno.
Come non adorare questo frutto così particolare e squisito, che ha da sempre colpito col suo fascino esotico il nostro immaginario, in ogni epoca e in civiltà diverse? Il suo nome – che indica sia l’albero che, per estensione, pure il frutto, per cui si utilizza spesso anche il femminile – deriva dal latino “malum granatum”, letteralmente: “mela con semi”. Si tratta di una pianta esotica, originaria della zona che va dall’Iran all’India settentrionale, ma presente sin dall’antichità nell’area caucasica e mediterranea, dove sarebbe stata diffusa dai Fenici e dai Greci. I Romani, in seguito, la conobbero grazie al popolo cartaginese, tanto da darle il nome di “Punica granatum”, dove con “Punica” s’intendeva proprio la regione tunisina dov’era coltivata.
Se i fiori di melograno, di un bel rosso vivace, fioriscono in maggio, bisogna attendere i mesi di ottobre e novembre per poter godere del frutto, coi suoi semi (“arilli”) separati da membrane e la profumata polpa traslucida che li circonda. Le varietà sono numerosissime e differiscono per colore e dimensione, oltre che per l’acidità del frutto, ma la più diffusa in Italia è sicuramente la cosiddetta “dente di cavallo”, di cui siamo soliti apprezzare dolcezza e polposità dei chicchi. Il melograno – i cui primi consumi sono testimoniati da ritrovamenti archeologici risalenti a millenni or sono, dall’Armenia all’Egitto – veniva utilizzato a fini medicinali: dalla corteccia così come dalla scorza del frutto si ricavava un decotto dalle note proprietà astringenti, a partire dai semi (ricchi di vitamine) si realizzavano sciroppi, dai petali degli infusi.
Ma è senza dubbio l’utilizzo culinario a essere da sempre il più diffuso. Abitualmente il melograno viene gustato così com’è – spaccandolo, sgranandolo e ingerendo la polpa che circonda i semi (e spesso i semi stessi). Viene consumato sotto forma di succo (“granatina”), col suo sapore dolce-acidulo per via del tannino contenuto negli arilli. Attenzione, però: benché il succo rappresenti in effetti l’unica possibilità di sfruttamento industriale, quelli in commercio contengono anche agrumi, frutti di bosco e altri ingredienti. Un succo di puro melograno, che resta a oggi un raffinato prodotto di nicchia, sarebbe davvero troppo costoso.
Anche i semi e le scorze possono trovare il loro utilizzo in cucina: i primi – una volta essiccati e macinati – possono essere usati per realizzare delle salse, mentre le seconde hanno funzione aromatica, specie per le bevande. Il melograno mette tutti d’accordo: oltre a essere buonissimo ha poche calorie e si tratta di un vero e proprio concentrato di vitamina C, vitamina B e di potassio. Ha proprietà antiossidanti, combatte l’invecchiamento e i radicali liberi, aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo e la pressione alta, a combattere i mali stagionali, a reintegrare l’organismo grazie ai suoi sali minerali e a contrastare la ritenzione idrica. Cosa chiedere di più?
Il suo aspetto, così particolare, ha favorito nell’immaginario collettivo l’assunzione di una serie di simbolismi davvero affascinanti, che l’hanno reso protagonista di leggende e mitologie di diverse culture. Nell’antico Egitto veniva utilizzato nelle cerimonie funebri come nutrimento offerto ai defunti per il loro viaggio nell’aldilà: non a caso, è spesso rappresentato nei geroglifici che adornano le tombe, prima fra tutte quella di Ramsete IV. Simboleggiava inoltre abbondanza e ricchezza, oltre a una prole numerosa, significati che troviamo anche in Grecia, dov’era sacro a Giunone. La dea, protettrice della fertilità, veniva infatti raffigurata con un melograno in mano. Lo ritroviamo inoltre nelle leggende legate a Venere, che avrebbe piantato il primo albero di melograno a Cipro, ma soprattutto a Persefone, costretta a dimorare nell’Ade (il regno dei morti) sei mesi l’anno per aver ingerito sei semi del frutto infernale.
Anche per i romani il melograno era legato al matrimonio e alla fertilità, tanto che le spose vestivano una corona di fiori di melograno fra i capelli. Il simbolismo del frutto torna anche nella Bibbia a diverse riprese: raffigurato sugli abiti rituali dei sacerdoti dell’Esodo, sui capitelli del Tempio di Salomone, fra i sette frutti della Terra Promessa. In epoca cristiana, per via del colore rosso dei suoi semi, diventerà immagine del sangue di Cristo e dei Martiri. Anche in Asia la ricchezza simbolica del melograno non è da meno, legata sempre all’idea di fecondità: in India le donne che desiderano figli sono invitate a berne il succo; in Cina i futuri sposi ne mangiano i semi la notte prima delle nozze in segno di buon auspicio. Nel Corano, infine, è citato come uno degli alberi che adorna il Paradiso. D’altra parte, con un melograno da gustare, anche in nostro autunno non sarà meno edenico.
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