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Olio extravergine di oliva: cosa sappiamo in fondo dell’oro verde?

L'extravergine è da secoli uno dei prodotti più comuni sulle nostre tavole. Ma quanto, veramente, conosciamo questo prodotto?

Non tanto o non solo sulla base del “peso del numero”, vale a dire delle quantità di olio prodotte, l’Italia è in posizione preminente a livello mondiale, seconda solo alla Spagna. Le sue peculiari prerogative, che garantiscono alla produzione varietà e qualità, sono l’abbondanza di cultivar e, dunque, di biodiversità, imparagonabile a quella di qualsiasi altro Paese, e le differenze climatiche che, a loro volta, determinano un’ulteriore varietà di extravergini di alto livello. Il ventaglio di climi umidi, siccitosi, caldi, freddi, tiepidi che caratterizzano un Paese bagnato per i tre quarti dal mare, attraversato da fiumi e torrenti, costellato di laghi, lagune e altri bacini costieri, protetto a nord da un’imponente catena montuosa, offre un ambiente in cui la flora più varia ha trovato condizioni ideali per acclimatarsi.

Un paese così profondamente legato all’olio e noi, suoi abitanti, cosa ne sappiamo?

Escluso solo il settore settentrionale del Trentino Alto Adige-Südtirol, ogni regione italiana, in misura diversa e con modalità proprie, produce olive. Numerosissime sono le varietà ufficialmente iscritte nello schedario olivicolo, alle quali si aggiungono molti sinonimi dialettali a diffusione locale. Sono distribuite un po’ ovunque, a partire dalla “zona fredda”, quella delle aree attigue ai grandi laghi glaciali, sui Colli Euganei, nel Triestino in prossimità del mare e su tutta la dorsale appenninica; per passare poi alla “zona temperata” dei rilievi liguri alpini e appenninici proiettati verso il mare, del litorale tirrenico fino a Terracina (Latina), della costa adriatica partendo dalla Romagna e dalle Marche settentrionali fino a Bari, inclusa la Basilicata; e arrivare alla “zona calda”, che ingloba Sicilia e Sardegna, la fascia costiera ligure, i litorali tirrenico (da Terracina alla Calabria), ionico calabro e pugliese, adriatico a sud di Bari. Al di là della ripartizione climatico-geografica, all’interno della quale si potrebbero delineare tipicità comuni (oli tendenzialmente dolci, dall’aroma tenue; oppure sapidi, dal gusto intenso; o, ancora, densi, penetranti all’odore e al sapore), ogni olio trova la sua storia, il suo carattere, la sua personalità in base alla cultivar, al microclima, al terreno, alle pratiche agronomiche, alle tecniche di estrazione adottate.

Se sull’importanza gastronomica dell’olio extravergine nessuno avrà da ridire, per contro ci si potrà però domandare in maniera paradossale perché questo prodotto sia poco trattato dalla letteratura di settore. Perché salga agli onori della cronaca soltanto quando sono portati alla luce grossi scandali o contraffazioni.
Negli ultimi tempi tuttavia qualcosa sta cambiando. Sono stati fatti passi avanti dal punto di vista dell’etichettatura, per esempio, eppure la maggior parte degli italiani compra ancora il proprio olio distrattamente, guardando soprattutto al prezzo. Giudicare e scegliere un prodotto soltanto in virtù di quanto costa è ben diverso dal comprenderne il valore, che nel caso dell’olio extravergine è qualcosa di grande, di complesso e di così variegato che si rende necessario un intero manuale per rendere consapevoli nel momento dell’acquisto.

Oggi sul mercato convivono, con rapporti di forza decisamente squilibrati, grandi marchi commerciali e piccole aziende agricole. Questi soggetti, diversissimi tra di loro, offrono prodotti altrettanto distanti l’uno dall’altro per qualità, costi e caratteristiche, che tuttavia sono sempre venduti con lo stesso nome, appartenendo alla stessa categoria: olio extravergine di oliva. Si tratta di una vera e propria giungla, in cui per sapersi muovere con perizia è necessario essere informati: dove nascano le differenze e perché, in che cosa consistano, come si manifestino. Tutto ciò riguarda il prodotto finale, che può avere qualità organolettiche agli antipodi, da riconoscere perché possono essere da scartare a priori o, al contrario, da apprezzare nella loro eccellenza o bontà. Tuttavia quello dell’analisi sensoriale resta soltanto uno dei primi passi che si possono fare, poiché riguarda l’approccio più diretto e finale con il prodotto.

Compiere una scelta di gusto e migliorare l’utilizzazione sono soltanto due aspetti del mondo-olio, che per essere capito a fondo, proprio come succede per il vino, non può prescindere da un approfondimento che riguardi anche tutte le tecniche di produzione: da ciò che avviene negli oliveti di ogni regione italiana, passando per il frantoio o la fabbrica, fino al modo in cui l’olio viene distribuito. Parliamo di biodiversità e della sua tutela, ma parliamo anche di gusti differenti, di territori con caratteristiche proprie e peculiari, molto spesso ricchi di problematiche legate alla sostenibilità, tanto ambientale quanto economica.

Già, perché a fronte di un’industria che spopola e regge in virtù di pratiche non sempre limpide e comunque non troppo incentrate alla qualità e alla genuinità, il mondo della piccola agricoltura che produce olio extravergine, ancora consistente in Italia, si trova in perenne difficoltà. Falcidiato da parassiti e malattie che hanno infestato negli ultimi anni gli oliveti, assiste a un problema legato all’estirpazione e all’abbattimento degli olivi secolari; patisce l’abbandono delle terre, perché produrre olio in maniera sostenibile, qualitativamente eccelsa, in linea con le tradizioni e i bisogni dei propri territori, sta diventando sempre più un’impresa da eroi dei piccoli bilanci aziendali. I costi per produrre un olio extravergine accettabile, secondo parametri minimi di qualità, determinano un prezzo che non è competitivo con quello praticato dalla concorrenza industriale, comunque non in grado di offrire un olio alla stessa altezza.

Ecco allora che olio extravergine significa anche sposare la salvaguardia dei nostri territori e del lavoro di generazioni che li ha plasmati, il benessere economico – se non la sopravvivenza – dei bravi olivicoltori, l’integrità di un prodotto che ha contribuito a forgiare la tanto decantata dieta mediterranea e che è insostituibile nelle nostre cucine. È per questo che Slow Food ha adottato l’olio extravergine come prodotto cardine per la propria missione tesa alla disponibilità di un cibo “buono, pulito e giusto” per tutti, tanto da istituire un Presidio a livello nazionale.

Parametri della qualità

  1. Il livello di acidità, più precisamente il livello di acidità libera, che non dovrà superare lo 0,8%. L’acidità libera è espressa in percentuale di acido oleico libero (ovvero il risultato del degrado dell’acido oleico che, per azione dell’ossigeno, si slega dalla glicerina). Per capirci: l’acido oleico è di per sé benefico, ma la sua naturale, graduale degradazione deve mantenersi entro la percentuale dello 0,8%.
  2. Il numero di perossidi. Composti che si formano in fase di produzione ma anche di conservazione, i perossidi indicano un’alterazione di tipo ossidativo, espresse in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilo di olio. Il limite è 20, al di sopra del quale l’olio è lampante. Un valore buono è al di sotto di 10, mentre un elevato numero di perossidi evidenzia un processo di ossidazione già avviato e irreversibile.
  3. L’assorbimento ultravioletto, misurato attraverso l’analisi spettrofotometrica, che individua l’ossidazione ed eventuali raffinazioni o miscelamenti con oli raffinati.
  4. La quantità di cere. Sostanze contenute nelle bucce delle olive, le cere passano in percentuale minima nell’olio dopo la molitura. La dose massima consentita è di 250 milligrammi per chilo. È un’analisi importante, perché se il quantitativo fosse maggiore si dovrebbe pensare a un’aggiunta di olio di sansa, ricco appunto di cere.
  5. L’analisi sensoriale. Se i precedenti parametri sono verificabili attraverso l’analisi chimica, quest’ultimo – molto importante – passa attraverso i nostri sensi. Per legge, attraverso il giudizio organolettico di un panel test che deve stabilire l’assenza di difetti percepibili e la presenza di un profumo fruttato altrettanto percepibile.

(Estratto da Il mondo dell’OLIO – Slow Food Editore)

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