Ci sono ostriche perfette, altre più dozzinali e, a parte qualche eccezione, sono tutte coltivate, specialmente in zone vicino alla costa e nelle lagune. E soprattutto sono molto controllate. Il grosso della loro produzione, circa il 70%, è francese, il 20% irlandese e il 10% italiano.
Ora, accontata la statistica, possiamo anche metterla da parte e concentrarci su questa prelibatezza che comunque non è una prelibatezza per tutti. Bisogna saperla apprezzare e conoscere.
Le ostriche hanno due valve diverse, con l’inferiore, alla quale è attaccato l’animale, più grande e incastonata nella superiore. Non devono essere confuse con altre varietà, presenti soprattutto nelle acque orientali, che producono perle. Quelle che troviamo nei mercati e in pescheria sono della varietà piatta e di quella concava e provengono dai principali allevamenti europei. La varietà più apprezzata in cucina è la Bèlon, un’ostrica piatta, dalla forma rotonda, già conosciuta ai tempi dei Romani e amata per il suo gusto morbido e poco salmastro.
Le ostriche vanno “affinate” per qualche giorno prima di essere consumate. Non è il vero affinamento, quello avviene in acqua: ma ricordiamoci che sono vive, dopo il trasporto arrivano stressate e vanno lasciate a riposo per un giorno intero nella loro confezione, a una temperatura compresa tra 2 e 8 °C. Poi le togliamo dalle cassette e le disponiamo con la parte concava del guscio rivolta verso il basso, sempre tenendole al freddo. Trattate in questo modo le ostriche non solo possono essere conservata 8-10 giorni, ma addirittura migliorano, diventano più morbide, meno aggressive. Prima di essere servite vanno aperte, si elimina l’acqua e si lasciano un minuto sul ghiaccio, il tempo necessario affinché l’ostrica formi nuovamente del liquido: questo significa che è viva, quindi fresca. Mai mangiare un’ostrica asciutta che, se lasciata riposare, non produce altra acqua.
Ecco un decalogo suggerito da Vanity Fair:
Pepe e Limone
In Italia è il modo più gettonato. Portate in tavola il vostro vassoio di ostriche già aperte, un piattino con le fette di limone tagliate per la lunghezza e non per la larghezza (evitiamo l’effetto fettine da tè, per carità), un bella macina contenente un qualche pepe che valga la pena, mi verrebbe da dire Sichuan. Il rituale è semplice: prendere l’ostrica, spremere all’interno un pochino di limone, aggiungere un giro di pepe, spalancare le fauci e gustare, come sopra.
Alla francese.
Dei cugini francesi possiamo dir tutto, tranne che a tavola non sappiano come godersela. Il metodo è il mio preferito: sminuzzate uno scalogno e fatelo marinare nell’aceto di vino bianco. Bruscate qualche fetta di pane e ricopritela con abbondante burro non salato di qualità. Quindi: prendete l’ostrica, conditela con un pochino di scalogno marinato in aceto e aggiungete un sospetto di pepe. Dopo aver gustato e ingoiato, azzannate un pezzo di pane e burro. Champagne a volontà.
Alla Napoleone.
Napoleone, quando non si trovava in battaglia, usava riempire un vassoio con ghiaccio tritato sul quale sistemava alcune foglie di lattuga. Su di esse, disponeva le ostriche aperte. Intanto emulsionava sale, pepe, Cognac e succo di limone e vi aggiungeva persino un goccio d’olio. Condiva i molluschi con la salsina e serviva direttamente in tavola. Potete provare.
Mangia e bevi.
La morte sua, lo sappiamo, è il Muscadet, vino bianco della Loira sufficientemente acidulo, sapido e fresco. Lo champagne va bene sempre, ma il vero RITUAL, ossia l’azione di mangiare e ingoiare repentinamente con alcolico a seguire, si realizza con la vodka.
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